lunedì 1 gennaio 2024

GENNAIO

Correggio - Giove ed Io - 1532 - Kunsthistorisches Museum - Vienna  


Non è detto che un'opera d'arte debba necessariamente emozionare chi la osserva. L'emozione è uno strumento a disposizione dell'artista ma non un obiettivo imprescindibile. Un dipinto o una scultura per essere annoverati come opere d'arte devono condurci in una dimensione dove la realtà non riesce ad arrivare. I sentimenti si muovono lungo il corso dei secoli seguendo percorsi imprevedibili; non si è potuto fare a meno di sentirli ma non sempre si è avuto il coraggio o la necessità di rappresentarli. Le emozioni non hanno avuto sempre lo stesso ruolo e ci sono stati tempi in cui non hanno esercitato il potere che sembrano avere oggi. La bellezza non ha sempre sposato la passione, la poesia non ha sempre suscitato un brivido. Ricostruire una storia delle emozioni nell'arte è un'occasione per comprendere cosa è cambiato nei secoli. Si è passati dal perfetto equilibrio greco alle vette e agli abissi del periodo romantico. Lo stupore dei monaci medievali ha un volto diverso da quello dei nobili francesi del Settecento, i Romani si servono di figure per esprimere il dubbio che a stento i futuristi riescono ad accettare, l'intensità del sentimento amoroso cantata da Saffo avrebbe scandalizzato una dama fiorentina del Quattrocento e acceso di ardore una giovane sartina dell'Ottocento. Dalla fine del XIX secolo con l'impulso dato da Darwin e l'accelerazione impressa da Freud filosofi e psicologi hanno intrapreso l'avventura di una storia delle emozioni servendosi in alcuni casi delle ricerche condotte dagli artisti, da Leonardo a Michelangelo a Raffaello a Charles Le Brun. In ogni tempo sempre c'è stato un artista in grado di descrivere nel modo più efficace il ruolo che abbiamo attribuito alle emozioni. Raccontare il ruolo delle emozioni nell'arte è comprendere quale rapporto gli uomini hanno vissuto con le proprie passioni.

Come il desiderio..

Basta che ti getti uno sguardo e mi si spezza la voce,

la lingua s’inceppa, un fuoco sottile corre sotto la pelle,

gli occhi non vedono più, le orecchie rombano,

un freddo sudore mi scorre, un tremore tutta mi afferra,

sono più verde dell’erba, e poco manca che muoia.

Saffo ha composto questi versi oltre duemilacinquecento anni fa e forse nessuno è ancora riuscito a descrivere in modo più espressivo e intenso i sintomi del desiderio. Facile liquidarlo come semplice attrazione, non basta paragonarlo all'ossessione o alla possessione esclusiva di qualcosa o qualcuno. E' forse piuttosto un anelito, una tensione in grado di appropriarsi dei sensi fino ad annichilire anche i gesti involontari come la respirazione. Il desiderio annebbia la mente, può cancellare l'autocontrollo, può trasformarsi nel dolore più potente. 

Nel dipinto del Correggio il desiderio di Zeus diventa tangibile. L'artista va oltre il racconto di Ovidio e fa assumere a Zeus la consistenza del fumo per avvolgere Io con le braccia mentre le sue labbra cercano un bacio appassionato. Correggio gioca con la materia, dà peso a ciò che in natura non l'ha, inventa un corpo fatto di aria per simulare l'insidiosa minaccia del desiderio che avvolge la donna, la inganna e non le lascia via di fuga. Il desiderio irrompe nel corpo di Io abbattendo qualsiasi resistenza. Ma siamo nel 1530 e il vento della censura ecclesiastica si sta levando velocemente. Presto una nuova norma morale regolerà e renderà più convenzionale il racconto della passione amorosa.


Da una rilettura di "L'arte in sei emozioni"