sabato 21 ottobre 2023

PRIME VISIONI


Mr. Ove è un film sull’amore. Non quell’amore targato Hollywood colmo di cliché ma su come due opposti si attraggono, creano qualcosa, si concentrano sulle cose importanti, superano ostacoli e dolori e cercano sempre e comunque di lottare insieme. È un film sulla timidezza, che condanna e allo stesso tempo celebra; la esalta quando porta con sé il rispetto verso gli altri ma la svilisce quando ciò vuol dire perdere occasioni, perdere i sogni. È un film sulla natura, usata in modo perfetto per delineare ogni singolo momento narrativo, con la bellissima estate scandinava e l’uggioso autunno che si alternano, così come Ove alterna i suoi bellissimi, idealizzati ricordi, al tremendo presente multiculturale che non capisce e che non comprende. A suo modo è  anche una staffilata alla società svedese immobile, attaccata a regole che non sono altro che spaventapasseri più efficaci contro l’empatia umana che contro i malintenzionati, i peggiori dei quali anche qui, indossano cravatte e guidano auto costose. È un film scarno, essenziale, venato da uno humor efficace ma anche da malinconia e tristezza. Scritto e diretto con grande sentimento da Hannes Holm  Mr. Ove è tratto dal romanzo En man som heter Ove - Un uomo chiamato Ove (in italiano L’Uomo che Metteva in Ordine il Mondo) di Fredrik Backman, scrittore svedese che in questi anni è diventato tra i più venduti al mondo. Candidato agli Oscar nel 2017 come Miglior Film Straniero e vincitore del Premio EFA come Miglior Commedia Europea, nel 2022 Tom Hanks diventa il protagonista nel remake americano dal titolo A man called Otto, in italia Non così vicino. Il confronto non regge. L'interprete e la regia sono molto lontani da quell'atmosfera che ben conosce chi ama e apprezza la letteratura e cinematografia nordica e che nel film ritrova splendidamente.


Entrambi i film sono disponibili su Amazon prime gratuitamente.





 

domenica 1 ottobre 2023

OTTOBRE


James Abbott McNeill Whistler - Thomas Carlyle - 1872


“Con il piacere è come con le fotografie. Quello che si realizza in presenza dell’essere amato non è che un cliché negativo, lo si sviluppa dopo, una volta arrivati a casa, quando si ritrova a propria disposizione quell’interiore camera oscura il cui ingresso è interdetto finché si sta con la gente”                                                                                                  Marcel Proust 


In una lettera del 1909 Proust scrive: "Nella mia stanza volontariamente nuda c'è una sola riproduzione di opera d'arte: un'ammirevole riproduzione del Carlyle di Whistler. Se il colore riveste un ruolo essenziale nella sua opera, il bianco e nero è stato importante nella sua stessa vita. Gli è stato indispensabile: ha regalato forma e materia prima alla sua fantasia e al suo ricordo. All'epoca di Proust l'arte era lontana, difficile da raggiungere; i colori assenti, imprecisi, bugiardi. Un pensiero pressoché sconvolgente per chi è cresciuto avendo le opere sotto gli occhi "nell'epoca della loro riproducibilità tecnica". Nel campo editoriale il colore era se non proprio un'utopia quantomeno un miraggio.  Esteti, critici e amatori dell'arte impossibilitati al viaggio dovevano essere forniti di una buona dose di pazienza e soprattutto di una fervida immaginazione. E Proust non fu un gran viaggiatore. Prima e solo dei trent'anni visitò l'Olanda, il Belgio e due volte l'Italia, Venezia e Padova. Se i suoi viaggi reali furono limitati quelli interiori furono senza fine. Se i quadri che amava erano sparsi per il mondo, in luoghi che non avrebbe mai raggiunto, questo non gli impedì di disseminare la Recherche di opere e artisti che non aveva mai ammirato dal vivo. Ma non accresce forse il nostro stupore e non moltiplica il fascino della folle impresa della Recherche scoprire che molte delle tappe del suo viaggio nei colori Proust le ha attraversate in bianco e nero? Quando descriveva l'oltremare di Giotto, il rosa delle guance di Albertine e il rosso impossibile del vestito di Oriane Proust doveva tenere gli occhi chiusi. Per scrivere il colore doveva ricrearlo, invocarlo, adattarlo. Più elegante di Swann, più sinuoso di Odette, più bugiardo dì Albertine e più fatale di Oriane, il colore per Proust era così importante che non gli è stato poi così difficile rinunciare ad averlo intorno a sé. Come ogni cosa, dalle sue parti, che meritasse di essere salvata, la sua presenza era poca cosa, la sua memoria era tutto. 

 da una rilettura di Marangoni "Proust. I colori del tempo"