giovedì 23 luglio 2020

CONSIGLI DI LETTURA



"Seduto pacificamente senza far nulla

viene la primavera

e l’erba cresce da sola”


Sono i versi di un haiku del monaco buddista e poeta giapponese, Kenko Yoshida, autore del libro Momenti d’ozio, considerato un classico della letteratura di quel paese. A lui l’ozio serve come risposta alla noia che non è la semplice assenza di attività, bensì il contrario: deriva dalla vita quotidiana, dal rumore del mondo. Tutto il contrario di quello che pensiamo noi occidentali. Come del resto e' ormai difficile al giorno d’oggi annoiarsi veramente, quasi impossibile. Siamo consumatori perpetui e anche il tempo libero porta impegno. Gianfranco Marrone, professore di Semiotica dell’Università di Palermo, ha pubblicato da poco un interessantissimo saggio La fatica di essere pigri,dove spiega quanto sia complesso, quasi impossibile, districarsi dalle pressioni sociali che glorificano la prestazione incessante per lasciarsi andare a momenti di ozio, fondamentali per la buona salute dell'essere umano.

In un mondo in cui i valori comportamentali identificano l’accidia con uno dei peccati capitali la vita del pigro non è semplice, soprattutto nella nostra contemporaneità dove “tempo libero e consumo vengono a coincidere” e dove non fare nulla per il non fare nulla non è solo difficile, ma quasi impensabile. Ed ecco un quadro piuttosto prevedibile in cui l’ozioso non piglia pesci, morirà di fame, avrà un futuro poco luminoso e la cicala che perde tempo a cantare non supererà l’inverno.

Volgendo un occhio alla narrativa e' interessante secondo Marrone l'analisi di Oblòmov, il protagonista del romanzo di Ivan Aleksandrovič Gončarov. Oblòmov è un antieroe che non ne vuole sapere di partire per avventure faticose, di avvilirsi per amori ritenuti necessari e per altre facezie che lo sottrarrebbero al suo adorato focolare domestico. Per finire in modo piu' pop con la figura di Paperino che incarna la massima dell’intero saggio: “per essere pigri bisogna lavorare moltissimo, scontrarsi con un mondo che cambia e che pretende sempre di più un attivismo ipocritamente euforico. La pigrizia non è un dono, né un tratto caratteriale: è semmai un oggetto da conquistare dopo infinite lotte contro antagonisti d’ogni tipo e natura che fanno del lavoro un valore fine a se stesso."

E come dice Barthes... ogni tanto è il caso di osare essere pigri.



Gianfranco Marrone  La fatica di essere pigri


Kenko Yoshida  Momenti d'ozio


Ivan Aleksandrovič Gončarov   Oblomov

domenica 12 luglio 2020

INGENUITA'

Alla parola “ingenuità” e all’aggettivo “ingenuo” è attribuito solitamente il significato di “candore”, se non di “inesperienza”, significati lontani dalla loro etimologia. L'ingenuitas era un termine legale nell’antica Roma. Indicava la condizione di una persona libera, nata all’interno della società romana e riconosciuta tale nel momento in cui il padre se la poneva sulle ginocchia. Ciò ne faceva una persona naturale, nobile e sincera. Senza bisogno di imporsi e di guadagnare posizioni nella società. Era persona libera. Distinta dai liberti che erano, sì, liberi ma provenienti da una condizione pregressa di schiavitù. 
Mantenere vivo il significato etimologico, e quindi positivo, della parola ingenuità non vuol dire elogiare l’ingenuità idiota del principe Myskin di Dostoevskij, vittima del cinismo e della meschinità che lo circondano. E non vuol dire nemmeno accettare acriticamente l’atteggiamento prevalente nella cultura corrente dell’homo homini lupus (Hobbes). Nessuno oggi vuole essere considerato ingenuo. L’ingenuità è ritenuta una condizione di svantaggio. Come lo è ritenuto il lasciarsi andare ai propri sogni, scommettere su di essi, credere che tutto di valido può ancora accadere e che ci si può spendere per gli altri senza aspettarsi un ritorno. È ritenuto molto più appagante oggi vedersi ed essere riconosciuti come persone dotate di una buona dose di furbizia. Insomma la parola ingenuità non rimanda più alla condizione di libertà e di sincerità, dal momento che gran parte della cultura contemporanea considera una conquista lo stare al mondo in maniera astuta.
Non la pensa così Sören Kierkegaard, che vede nella perdita dell’ingenuità uno dei segnali allarmanti dell’imbruttimento e dell’imbarbarimento della civiltà moderna. Dopo aver scritto: «Non è affatto segno di maturità il perdere completamente l’ingenuità…», il filosofo danese, in un eccesso di fiducia nell’umanità, afferma: «All’esistenza umana sana e onesta appartiene sempre fino all’ultimo un certo momento di ingenuità». Il momento di ingenuità consiste nel saper vivere pienamente inseriti nella realtà senza perdere di vista l’ideale, senza rinunziare all’esercizio di una efficace difesa dalle avversità, dai nemici e dai furbi. Questa ingenuità è sinonimo di nobiltà, mai di stupidita'.

da una rilettura di N. Galantino


mercoledì 1 luglio 2020

LUGLIO


Giovanni Boldini  -  John Singer Sargent   -   1890


Un grande ritrattista che ritrae un altrettanto grande. Pare che i due si conobbero nell'estate del 1880 a Venezia. Sargent aveva 24 anni Boldini 38. 
Nei primi anni del Novecento Sargent partecipo' alle prime edizioni della biennale di Venezia e influenzò alcuni dei maggiori ritrattisti italiani a lui contemporanei tra i quali proprio Boldini.
John Singer Sargent amava definirsi “un americano nato in Italia, educato in Francia, che parla inglese, sembra tedesco e che dipinge come uno spagnolo”.
Dotato di  una personalita' cosmopolita e poliedrica, con la valigia sempre pronta, viaggiò tra Parigi, Napoli, Spagna, Marocco e Tunisia per poi ritornare a Parigi ed entrare all’Ecole des Beaux-Arts.
La sua pittura non può essere facilmente incasellata all’interno di una scuola o di un movimento. Nelle sue opere si avverte l’eco dell’Impressionismo, ma anche di pittori come Velázquez, Tiziano e El Greco.
I suoi ritratti hanno una forte introspezione psicologica e una resa naturalistica delle fisionomie e dei dettagli. Le donne che ritraeva amano mettersi in posa, guardare dritto negli occhi l’osservatore. Conturbanti e misteriose, indossano abiti ricchi e preziosi e, attraverso le pennellate del pittore, è facile avvertire il fruscio delle stoffe che avvolgono i loro corpi profumati. E qui il confronto con Boldini e' lampante.
Quando nel 1907 Lady Radnor gli propose di eseguire il ritratto di una delle sue figlie, John Singer Sargent le rispose che avrebbe potuto chiedergli di dipingere qualsiasi cosa, «il suo cancello, i suoi steccati, i suoi fienili – cosa che farei davvero volentieri – ma non più il volto umano»,  ormai i ritratti gli facevano orrore e non voleva più sapere di farne, soprattutto a persone dell’alta società. In queste parole si percepisce tutta la stanchezza di Sargent che, a poco più di cinquant’anni è ormai al culmine del successo, ma sente che qualcosa si è incrinato nel suo meccanismo di artista perfettamente consolidato. Si dedichera' comunque a ritrarre amici e conoscenti con brevi tratti di carboncino. Disegni che hanno dato vita ad una mostra molto apprezzata. Uno dei migliori pare sia quello al caro amico scrittore Henry James.