venerdì 22 agosto 2025

Note

Giuseppe Chiari


“Forse, non c'è mai stato un filosofo che fosse, au fond, musicista quanto lo sono io” 


"Vielleicht hat es nie einen Philosophen gegeben, der im Grunde so sehr Musiker ist wie ich"


Così scriveva Nietzsche. La musica è il centro vitale del suo pensiero, della sua filosofia, ed è in questo “magico fuoco, selvaggio oceano dei suoni” che si esaurisce il suo rapporto con l’arte, difficilmente riesce a godere di un'opera figurativa. Una frenesia incontenibile lo domina in particolare quando compone al pianoforte, lo strumento della sua creatività musicale, dell'intimità solitaria, il suo principale confidente e che lo seguirà per tutta la vita. Suona, compone, improvvisa fino a forzare i limiti dello strumento stesso. Nel 1871 compone l’enigmatico Das Fragment an sich (Frammento in sé), un brevissimo brano per pianoforte solo che sembra evocare  la circolarità dell'eterno ritorno. Ma è nel 1872  che si dedica al brano pianistico più complesso e controverso la Manfred Meditation che lo porterà a ricevere le fatali parole del celebre direttore d’orchestra Hans von Bülow, primo marito di Cosima Liszt, in risposta all’ invio da parte di Nietzsche dello spartito e che scuoteranno il suo fragile animo musicale:

“La sua Meditazione sul Manfred è di una estrema stravaganza fantastica, la cosa più sgradevole e anti musicale che da gran tempo mi sia capitata sotto gli occhi tra le annotazioni su carta da musica. [...] A parte l'interesse psicologico – dato che nel suo febbrile componimento musicale, accanto a tutti gli smarrimenti, si avverte uno spirito inconsueto e distinto – la Sua meditazione dal punto di vista musicale ha lo stesso valore di un delitto nel mondo morale... […] D'altronde Ella stessa ha definito la Sua musica “orribile” – e, in effetti, lo è. E certo in modo più orribile di quanto creda... dannosa per Lei stesso, che non avrebbe potuto ammazzare in modo peggiore anche un eventuale eccesso di ozio che stuprando Euterpe in tal maniera”.

Voglio ricordare che Nietzsche primeggiava nella pratica compositiva estemporanea, nell’improvvisazione e voglio pensare che in questo avesse trovato la vera dimensione della libertà dionisiaca.



 

martedì 5 agosto 2025

POETI




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Una dichiarazione di poetica


Cominciò che avevo 21 anni. Forse furono le mollettiere, gli scarponi chiodati, le piaghe ai piedi mentre facevo atletica e il rancio insufficiente; forse fu il crollo nervoso, l'ospedale militare, i giri di chiave dell'infermiere-secondino, i tonfi degli epilettici che stramazzavano al suolo, i passi dei sonnambuli, gli urli dei simulatori e gli occhi di vetro dei pazzi. Forse fu colpa di tutto questo o di altro, di qualcosa che dentro non mi funzionava nel debito modo, ma appena ottenni la licenza di convalescenza e giunsi in Sicilia (era la primavera del '43), la guerra cominciò a non esistere più per me come evento eccezionale, mostruoso.

Cominciai a scrivere versi non so come, ero sempre in preda a non so quale ebbrezza, stordito da sensazioni troppo acute, troppo dolci. Le mille cose che  quella snervante primavera mi proponeva erano magicamente gravide di significati, ricche di acutissime, deliziose radiazioni. Come in una seconda infanzia cominciai a enumerare le cose amate, a compitare in versi un ingenuo inventario del mondo. Tutt'intorno lo schianto delle bombe e le raffiche degli Hurricane, degli Spitfire... Me ne andavo per la colorita campagna nutrendomi di sapori, aromi, immagini; la morte non era elemento innaturale in quel quadro; era come un pesco fiorito, un falco sulla gallina, una lucertola che guizza attraverso la viottola.

Scrissi così i miei primi versi. Poi il tempo passa, gli anni dietro gli anni, gli incontri, le letture, le vicende, i viaggi, la minuta storia che  giorno dopo giorno si viene costruendo (o solo illuminando?), provando e perseguendo i miti, gli emblemi che ci appartengono, ripudiandoli, riprendendoli, coinvolgendone altri nel gioco dell'impegno vitale, sempre seguendo gli interessi che più premono, le secrezioni delle ghiandole, i lasciti ancestrali, i diagrammi sulle interne cartelle, i furori e gli amori mutevoli e fedeli, le tappe in avanti, le tappe a ritroso del comune cammino.

La storia dei miei versi non può che coincidere con la mia storia umana. Rifiuto e considero vietate le fredde determinazioni dell'intelligenza, le esercitazioni (sia pure civilissime), le sperimentazioni che furbescamente o ingenuamente tentano l'impossibile colpo di dadi.

Non mi riesce di capire il "mestiere" di poeta, i ferri, il laboratorio di questo "mestiere". Quella del poeta è secondo me una pura e semplice condizione umana, la poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino, è un modo come un altro di essere uomini. Di là dagli schemi mentali, dalle velleità, dalle frigide volizioni e dalle sapienti masturbazioni, la poesia nasce sotto il segno apparente dell'imprevisto (vi sono misteriose maturazioni, catalizzatori non sempre identificabili, forze e forme insospettate che si liberano rompendo lo stato di "quiete", che scattano e si scatenano secondo le linee d'un disegno naturale a cui bisogna con coraggio arrendersi, individuandolo e potenziandolo, per quanto consentito, con accorta vigilanza in mezzo alla selva allettante degli inganni, dei miraggi, delle false rappresentazioni). Poesia è dunque per me avventura, viaggio, scoperta, vitale reperimento degli idoli della tribù, tentata decifrazione del mondo, cattura e possesso di frammenti del mondo, nuda denuncia del mondo in cui si è uomini, cruento atto esistenziale.

Ma forse, al giorno d'oggi, mi sbaglio, sono un ingenuo, un sempliciotto: ben altri discorsi, forse, dovrei fare. Ho comunque mille ragioni più di Apollinaire per invocare pietà (1).


Bartolo Cattafi   


(1)  "Pietà per noi che sempre combattiamo alle frontiere // Dell’illimitato e dell’avvenire / Pietà per i nostri errori e per i nostri peccati" G. Apollinaire







da “ The Dry Air of the Fire: selected poems” Bartolo Cattafi

venerdì 1 agosto 2025

AGOSTO

 



…I love not Man the less, but Nature more,
From these our interviews, in which I steal
From all I may be, or have been before,
To mingle with the Universe, and feel
What I can ne’er express, yet cannot all conceal.


There is Pleasure in the Pathless Woods” - George Gordon Byron