giovedì 16 agosto 2018

E' UNA BALLATA

There is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it's been the ruin of many a poor boy
And God I know I'm one

Ma che cosa è questa casa del Sole Nascente.. Secondo alcune fonti una casa di tolleranza con questo nome è esistita veramente tra il 1862 e il 1874, di proprietà di una maitresse che si chiamava Madam Marianne Le Soleil Levant, a New Orleans, all'epoca una sorta di "sin city" con il quartiere a luci rosse più grande del mondo. Qualcuno l'ha individuata nella vera casa d'appuntamenti al n.1614 di Esplanade Avenue. Ma, con scarsa sensibilità per le leggende, quella casa, nel 2007, sarà abbattuta, come capita a tanti monumenti del rock. In ogni caso "Rising Sun" era una metafora usata in America, e ancor prima in Inghilterra, sin dall'800, per indicare proprio una casa di tolleranza.
In questa Casa il giovane figlio di un giocatore d'azzardo ha speso i suoi giorni rovinandosi, è disperato perchè sta lasciando la città come galeotto con una palla al piede e da qui la sua angosciata implorazione:

Oh mother, tell your children
Not to do what I have done
Spend your lives in sin and misery
In the House of the Rising Sun

Questa ballata ha radici antiche, Ottocentesche, se ci riferiamo al suo testo; addirittura seicentesche se consideriamo la parte musicale, almeno prestando fede alla ipotesi più accreditata, quella dello studioso e collezionista Alan Lomax, curatore dell'Archive of American Folk Song, secondo il quale la melodia era stata ripresa da una ballata tradizionale inglese di nome "Matty Groves", risalente appunto al XVI secolo, mentre le liriche erano state scritte due secoli dopo, da una coppia di abitanti del Kentucky, Georgia Turner e Bert Martin.
In molti ci hanno messo mano, il primo nel 1934 fu il giovane suonatore di banjo degli Appalachi Clarence "Tom" Ashley e a seguirlo una una sequela infinita di interpreti si mette in fila per la processione delle cover: Woody Guthrie, Frankie Laine, Joan Baez (forse la migliore), Miriam Makeba, Bob Dylan, Nina Simone, Beatles, Doors, Jimi Hendrix, Marianne Faithfull, Dolly Parton, Johnny Cash, Eagles, Tracy Chapman, Tori Amos, Sinéad O'Connor, Duran Duran, Muse e perfino gli italiani Riki Maiocchi e Pooh. Ma alla fine ne resterà una sola. Perché di tante stelle nessuno ha fatto centro. E il colpo in canna è stato riservato dal destino a cinque esuberanti ragazzi inglesi, infervorati di rock e rhythm'n'blues. L'hanno ascoltato in un pub della loro Newcastle, quel motivetto immortale, da un menestrello del Northumbrian di nome Johnny Handle. E non sanno nemmeno che Dylan l'ha appena inserito nel suo album d'esordio. E non possono non chiamarsi Animals. Perché hanno una furia selvaggia nelle vene, che stride col loro look da bravi ragazzi beat.





mercoledì 8 agosto 2018

PASSERI SOLITARI

Non so se nelle antologie moderne ad uso nelle scuole sia compresa ancora la poesia Il passero solitario. Titolo che stranamente appartiene a due poeti: Leopardi e Pascoli. Quest'ultimo accusava Leopardi di indeterminatezza nelle sue citazioni naturali, di scrivere albero siepe augello là dove uno spirito poetico avrebbe consigliato di scrivere olmo ginepro allodola. Ma una volta tanto Giacomo esce da quel generico che tanto dava fastidio al Pascoli citando il passero solitario, rivivendone l'accento lungo, accorato e melodioso. Non un uccello gli serviva ma quel determinato uccello che fin dll'infanzia aveva veduto sulla torre di Recanati. Non ricordo ai tempi di scuola che nessun antologista o alcun professore si curasse di spiegare che il passero leopardiano non era quel loquace, garrulo, pettegolo passerotto che vola in grandi sciami e viene a posarsi sui davanzali ma un determinato e malinconicissimo uccello che con il passerotto non ha nulla a che fare. Si tratta del Monticola Cyana, più grande e grosso del passero comune, ama i luoghi remoti e alti, grandi massi, mura diroccate, torri ed ha un bellissimo piumaggio blu scuro tendente all'azzurro. Non cinguetta come il suo omonimo ma ha un canto disteso e con l'usignolo il più flautato, il più ricco di armonie tra gli uccelli canori.

da una rilettura  di Eugenio Montale "Il secondo mestiere "

mercoledì 1 agosto 2018

AGOSTO


La Casa Rossa - Roberto Melli - 1923.


Un piccolo quadro, in parte dimenticato, di valore estetico assoluto, e totalmente inedito per lo stile italiano. Un quadro che i visitatori frettolosi della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma spesso ignorano, ma che preannuncia la pop art e la pittura metafisica di Hopper che, proprio in quegli anni, aveva iniziato negli Stati Uniti la sua ricerca in felice solitudine. Un quadro del quale non era possibile sino a pochi anni fa ritrovare traccia nel web, e che solo pochi storici dell'arte citano.
Al centro dello spazio una casa rossa su una collina che credevo potesse essere una casa del Lungotevere, a Testaccio, dove Melli abitava, e che ho scoperto poi essere Villa Strohl Fern, vista da via Flaminia Vecchia, all'epoca sede di numerosi studi d'artista ( da Trombadori a Oppo, da Arturo Martino a Guidi), oggi invisibile per la crescita degli alberi.
La "casa" si staglia su un cielo azzurro, uno di quelli che i romani conosco bene, dipinto  in estate, con l'aria un po' stanca del pomeriggio.
La prospettiva è totalmente rispettata, ma lo spazio diventa addirittura metafisico. Tutto è immerso nel silenzio. Non ci sono persone. Non c'è nessun compiacimento paesaggistico. 
Nel 1923, dopo aver attraversato il futurismo con dipinti e sculture di valore fondamentali (la donna con il cappello, una lama nella coscienza), appena due anni dopo la Marcia su Roma, due prima del quadro di Hopper, Melli (1885 -1958) aveva aperto una porta che gli italiani non erano stati in grado di vedere.


fonte: A. Accatino