Ci nutriamo ogni giorno di previsioni del tempo. Abbiamo sviluppato un io meteorologico che e' andato mutando con l'andare dei tempi. Le sempre nuove scoperte scientifiche e tecnologiche hanno apportato una quantita' di nuovi dati che “hanno annullato l'effetto della sorpresa e soprattutto hanno squalificato i saperi degli uomini di altri tempi, che con lo sguardo, l'umidità percepita dal corpo o il vento sulla pelle e tante altre sensazioni prevedevano l'irruzione o meno della pioggia”.Alla pioggia o alla sua assenza sono spesso legate ansie e sofferenze in continuo cambiamento e ormai lontane nell'aspetto fideistico e divino.
Il professor Alain Corbin ha individuato nel XVIII secolo il momento storico in cui la sensibilità per i fenomeni meteorologici è andata intensificandosi. Nel 1784 Bernardin de Saint-Pierre, nei suoi “Ètudes sur la nature”, andava sottolineando il piacere della pioggia, madre della malinconia; e anzi osservava che per potersi gustare più a fondo la pioggia serviva non avere niente in agenda, e smettere di pensare che non c'erano più le stagioni o le mezze stagioni e non c'era più l'antico ordine nella natura. Serviva ricordare l'esempio di quel console romano che quando pioveva faceva alzare la sua lettiga sotto le fitte frasche d'un albero, per addormentarsi al mormorio delle gocce di pioggia.
Joseph Joubert, nel suo “Carnet” (1779-1783), osservava che la pioggia sapeva rendere le percezioni più nitide e più definite: più sensibili ai rumori, alle sfumature di colore, alle impressioni, in genere. Il pittore Pierre Henri Valenciennes, nello stesso periodo, esortava i suoi allievi ad aspettare un'ora, dopo un'acquazzone, per apprezzare la lucentezza della natura.
Il filosofo Maine de Biran, nel suo diario del febbraio 1819, registrava quanti danni e quanto malessere gli veniva dalla pioggia: addirittura doveva ammettere che “lo stomaco è come affossato su se stesso, le digestioni sono laboriose, le idee lente e oscure; il mondo scompare ai miei occhi”.
Nel Novecento, Gide, nel suo “Journal”, ribadiva la sua avversione per la pioggia, che figliava volontà inquieta e umore instabile e magari cefalea; cent'anni prima Baudelaire aveva riconosciuto nella pioggia una componente fondamentale dello spleen, e Verlaine aveva stabilito un legame incontrovertibile tra pioggia e malinconia. Laforgue, non troppo lontano dai loro esempi, sapeva sfregiare il maltempo così: “Tutto mi annoia, oggi. Scosto le tende.In alto un cielo grigio, rigato da un'eterna pioggia”.
E in questi giorni di tempo incerto piu' simili ad un aprile piuttosto che ad un meta' giugno non potevo che citare il bellissimo libro "Breve storia della pioggia. Dalle invocazioni religiose alle previsioni meteo" di Alain Corbin.