domenica 12 luglio 2020

INGENUITA'

Alla parola “ingenuità” e all’aggettivo “ingenuo” è attribuito solitamente il significato di “candore”, se non di “inesperienza”, significati lontani dalla loro etimologia. L'ingenuitas era un termine legale nell’antica Roma. Indicava la condizione di una persona libera, nata all’interno della società romana e riconosciuta tale nel momento in cui il padre se la poneva sulle ginocchia. Ciò ne faceva una persona naturale, nobile e sincera. Senza bisogno di imporsi e di guadagnare posizioni nella società. Era persona libera. Distinta dai liberti che erano, sì, liberi ma provenienti da una condizione pregressa di schiavitù. 
Mantenere vivo il significato etimologico, e quindi positivo, della parola ingenuità non vuol dire elogiare l’ingenuità idiota del principe Myskin di Dostoevskij, vittima del cinismo e della meschinità che lo circondano. E non vuol dire nemmeno accettare acriticamente l’atteggiamento prevalente nella cultura corrente dell’homo homini lupus (Hobbes). Nessuno oggi vuole essere considerato ingenuo. L’ingenuità è ritenuta una condizione di svantaggio. Come lo è ritenuto il lasciarsi andare ai propri sogni, scommettere su di essi, credere che tutto di valido può ancora accadere e che ci si può spendere per gli altri senza aspettarsi un ritorno. È ritenuto molto più appagante oggi vedersi ed essere riconosciuti come persone dotate di una buona dose di furbizia. Insomma la parola ingenuità non rimanda più alla condizione di libertà e di sincerità, dal momento che gran parte della cultura contemporanea considera una conquista lo stare al mondo in maniera astuta.
Non la pensa così Sören Kierkegaard, che vede nella perdita dell’ingenuità uno dei segnali allarmanti dell’imbruttimento e dell’imbarbarimento della civiltà moderna. Dopo aver scritto: «Non è affatto segno di maturità il perdere completamente l’ingenuità…», il filosofo danese, in un eccesso di fiducia nell’umanità, afferma: «All’esistenza umana sana e onesta appartiene sempre fino all’ultimo un certo momento di ingenuità». Il momento di ingenuità consiste nel saper vivere pienamente inseriti nella realtà senza perdere di vista l’ideale, senza rinunziare all’esercizio di una efficace difesa dalle avversità, dai nemici e dai furbi. Questa ingenuità è sinonimo di nobiltà, mai di stupidita'.

da una rilettura di N. Galantino


2 commenti:

  1. Come cambia nel tempo il senso delle parole, hai ricordato perfettamente che in origine l’ingenuo era un individuo nato libero (da in- gignĕre, essere indigeno, nascere in un luogo, nativo, nato, appunto, libero, uno che non è stato costretto da necessità, da bisogno o da forzatura alcuna a cambiare il luogo della propria esistenza, come fa chi impoverisce, chi viene vinto in guerra e preso come schiavo … gli ateniesi avrebbero detto “cittadino”, gli spartani “spartiate”).
    Più importante ancora della condizione di nascita è il fatto che all’ingenuo corre l’obbligo di comportarsi lealmente, senza trucchi, inganni o strategie per giungere al fine che si è prefissato, ed è su questo crinale e sui movimenti sociali tellurici a cui hanno condotto più o meno gradatamente o repentinamente rivolte sociali come il cristianesimo, la rivoluzione francese e quella industriale, il comunismo, il socialismo e il liberalismo, che potremmo discutere il fatto che l’ingenuo da uomo libero sia diventato uno sciocco.
    Che alla fine dei tempi non ha prevalso l’eroe puro come Achille, o Ettore, o David, o Socrate, o Cristo, ma individui dal “molteplice ingegno” e dai “molteplici inganni” come Ulisse, che pur avendo nell’antichità una sua dignità, l’uomo greco antico riteneva umiliante prevalere grazie all’inganno e non alla propria aretè.
    Oggi domina l’individuo ambizioso, privo di scrupoli e pronto a tutto pur di emergere, che ha creato una filosofia secondo cui è sensato, naturale, vantaggioso, ispirare il proprio comportamento a questi principi pragmatici, ed socialmente accettabile non soltanto che il fine giustifichi i mezzi, ma che ciascuno persegua il proprio fine personale, che viene imposto anche agli altri se dovesse essere vincente.
    Ciao
    P.S. Nel post precedente ho letto con molto interesse ciò che hai scritto dei miei “ritrattisti” (so che non furono soltanto questo) preferiti che cavalcarono i secoli XIX° e XX°, la posa di John Singer Sargent è spavalda, da artista, da flaneur, da dandy, gambe divaricate, pollici nel taschino del gilet, giacca quasi del tutto aperta, il bastone da passeggio infilato fra i gomiti e la schiena, nessun cappello visibile che era un chiaro segno di rispettabilità per un uomo (anche per la donna) di qualsiasi condizione sociale e che era tanto più irrinunciabile tanto più appartenevi ad una classe più elevata. Mi fa pensare ad un’altra tela sempre di Boldini, che raffigura sempre lo stesso soggetto, credo dipinta anch’essa nello stesso anno di quella che tu proponi qui.
    Singer Sargent li è languidamente adagiato su un divano, è vestito molto più elegantemente, col tait e i guanti bianchi, ma anche li è privo di cappello, il bastone da passeggio è infilato sulla gamba incrociata, con la mano sinistra che regge il pomello, uno sguardo distratto in nessuna direzione e quel rosso del divano che sembra esaltare il fuoco artistico del soggetto ivi ritratto, come sempre Boldini usa lo sfondo (linee di forza o di luce) per esaltare ciò che ritrae per amplificazione o per contrasto.

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    1. Grazie per il corollario al mio post. Amo Sargent e amo Boldini. Ho scelto questo ritratto, che trovo fantastico, esattamente per i motivi che tu hai descritto in modo così perfetto.. Non è il solito ritratto perché non è il solito ritrattista con il tipico soggetto. Sono due grandi. Diversi ma compatibili.
      Ciao e buon luglio

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