martedì 25 aprile 2023

PRIMA VISIONE



In questo film si respira letteratura, poesia, teatro ma soprattutto Sicilia.

La stranezza è un modo fanciullesco di definire i pensieri che diventano ossessioni, inventato e custodito gelosamente da Pirandello insieme alla sua nutrice.

La stranezza è pervaso infatti dallo spirito di Pirandello. Lo è innanzitutto nel suo tentativo di svelare il meccanismo e la magia della creazione artistica, il passaggio dalla persona al personaggio, “dall'avere forma all'essere forma”.

Un bel film, sentito, passionale, che va dalla comicità semplice e vernacolare alla gravitas interpretativa degli attori di turno.

Pirandello non riesce a trovare la scintilla, la folgorazione necessarie a chiudere il suo prossimo testo e a Girgenti, come lui stesso insegna, avvengono stravolgimenti e si compiono decisioni...


Ma che colpa abbiamo se le parole sono vuote? E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto di intenderci; non ci siamo intesi affatto.


Lo potete vedere su Amazon Prime

4 commenti:

  1. Questo post vorrei dedicarlo a garbounic.blogspot.com
    Julia

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  2. Ti ringrazio moltissimo per la dedica.
    Parto dalla semplice informazione che il film l’ho visto e mi è piaciuto. Come dici tu c’è un po’ di tutto: dalla comicità volontaria di Ficarra e Picone, a quella involontaria di Toni Servillo, e non perché quest’ultimo non riesca ad interpretare ruoli comici, ma semplicemente perché è luogo comune ormai che Pirandello è stato un autore “tormentato”, dunque tormentato dev’essere pure chi lo interpreta, dimenticando che la sua prosa trasuda comicità ed ironia in ogni frase, in ogni parola, che il paradosso di cui era maestro ha risvolti comici incredibilmente intensi e che scrisse un libro dal titolo l’umorismo nel 1908, che umoristicamente dedica “alla buonanima di Mattia Pascal bibliotecario”, un uomo che in quanto tale non esiste e non vuole esistere nemmeno letterariamente.
    Si respira la Sicilia, è vero, la Sicilia realistica e amara che ti confronta con la tragicità e l’assurdità del vivere, e la Sicilia che prova stupore per ciò che esiste e per il fatto stesso di esistere, che si domanda il motivo dell’esistenza e del fatto che ci poniamo questo enigma.
    Che si risponde spesso in modo intelligente (ma a volte no), indagando sul mondo e su se stessi, spaccando il capello in quattro, dialogando con gli altri fino allo sfinimento e che non è mai felice e soddisfatta delle risposte che riesce a darsi, ma è convinta che la vera risposta sia sempre altrove, rendendo in questo modo infinita la ricerca.
    “Stranezza” dovresti intenderla non come qualcosa di diverso dal normale, ma come qualcosa di inaspettato, di imprevedibile, che ti coglie di sorpresa, ti assale all’improvviso, qualcosa di molto vicino alla Stranizza d’amuri di Franco Battiato.
    La stranizza è qualcosa di profondamente piacevole, perché ti pervade, ti afferra anche l’anima, ti richiede l’abbandono più totale e l’oblio di te, del tuo Io consueto, sul quale fai di solito affidamento e ti rassicura perché ti è noto; e nello stesso tempo è qualcosa che ti atterrisce, perché ti mette in contatto con tutto ciò che ti è ignoto, ciò che non prevedevi e su cui non hai alcun controllo, con i tuoi demoni e non solo con quelli altrui.
    Questo strano sentimento era noto agli antichi greci quando parlavano della possessione di un dio, e lo esprime molto bene Sofocle nel secondo coro dell’Antigone, quando dice: «… molte sono le cose inquietanti [deinà], ma nessuna è più inquietante [deinóteros] dell'uomo …». (Sofocle, Antigone, vv. 332-333).
    Traduco il termine greco δέιυα [deinà] con “inquietante” invece che con "prodigioso" o con “meraviglioso”, “portentoso”, “stupendo”, “mirabile”, o “misterioso”, …, come leggo in molte traduzioni correnti; del resto questo aggettivo viene utilizzato quasi esclusivamente per esprimere qualcosa di tremendo, di terribile e che nello stesso tempo incute rispetto e timore, come ad esempio un esercito schierato in battaglia o un guerriero invincibile nella sua scintillante armatura e quasi mai per esprimere lo stupore, la meraviglia, come di fronte ad un qualche evento naturale o alla bellezza artistica prodotta dall’uomo.
    (segue)

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  3. Nessun fenomeno naturale (atteso o inatteso), per quanto prodigioso, può scatenare l’inquietudine, l’angoscia, quel senso fra il portentoso e il terribile, che dilagano solo quando l’uomo con le sue technaí (la navigazione, l'agricoltura, l'allevamento degli animali domestici e il dominio su quelli selvatici, il linguaggio, le conquiste civili, la medicina e le leggi) dimentica i suoi limiti e il suo destino e travalica l’ordine immutabile della natura garantito dalla necessità.
    Questa grande inquietudine sale dal coro dell’Antigone di Sofocle proprio per quanto l’uomo ha di più umano in sé e lo ammonisce di tenere entro i limiti la sua hýbris, la sua tracotanza, il suo voler essere simile agli dei immortali, quando basta un soffio appena perché di tutta la sua superbia, del suo orgoglio e della sua arroganza non rimanga altro che polvere.
    Inquietante, dunque, è l’uomo e il suo destino, che deve sempre misurarsi con la grande promessa che la vita dischiude a ciascuno di noi e le infinite lacerazioni che il tempo ci infligge togliendoci una dopo l’altra le infinite illusioni che ci creiamo: la felicità, la gioia, la serenità, la salute e la vita stessa.
    Più recentemente ne parlano (seppure con significato diverso) anche Freud (soprattutto ne Il perturbante) ed Heidegger, come di un senso di spaesamento, l’Unheimlich, che ci coglie ogni qualvolta usciamo dalla nostra confortevole casa (heim) per avventurarci nell’ignoto, nell’imprevedibile, nell’inaffidabile, nell’estraneo, in ciò che è alienante per il solo fatto che è diverso, che è “altro” (d’altronde non dice anche Sartre nella sua opera teatrale A porte chiuse del 1944 che: “l’enfer c’est les autres”?) e che ci fa balenare per un attimo la terrificante sensazione che anche noi potremmo in buona parte essere estranei a noi stessi.
    La Stranizza nel film sta nel fatto che ci si accorge che non c’è alcuna differenza fra la realtà e il teatro, fra il vero e il recitato, che la vita vera, in maniera inaspettata e creando scompiglio (non tutti capiscono e accettano la confusione creata fra realtà e fantasia, fra noto e ignoto … che andrebbe preso a piccole dosi anche nel mondo della finzione rappresentato dal teatro, dal cinema, dalla letteratura …), scardina la fantasia e le si impone (e viceversa), che se sei un autore non serve che ti assilli a cercare l’ispirazione chissà dove, quando la vita si recita da sé ogni giorno ed esistono personaggi nei posti più impensati in cerca di un autore che consenta loro di andare in scena e di poter dire, alla fine, che: “noi quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto”.
    Ciao
    P.S. Non perdo di vista il tuo ciclo di riflessioni su La Recherche e sul colore ;-).
    Calasso è un autore che mi piace molto (proprio ieri sono andato a rispolverare Le nozze di Cadmo e Armonia e Ka, pensando che sia ora di rileggerli), ma mi era sfuggito completamente il testo che hai citato :-)

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    1. Mi ero persa questo tuo generoso post. Per ripagare ho fatto una rilettura veloce del libro, (devo dire che l'ho apprezzata più della prima) e scritto qualcosa in proposito. Credo questo libro ti possa davvero piacere, lo trovo nelle tue corde e mi auguro il mio post ti faccia venire voglia di leggerlo.
      Grazie! Anche per il mio Proust. Scriverne è interessante e la soddisfazione aumenta sapendo che c'è qualcuno che lo apprezza...
      Ciao

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