venerdì 1 marzo 2024

MARZO

 

Niccolò dell'Arca  -  Compianto sul Cristo morto  -  1463 


"Quando il primo incontro con qualche oggetto ci sorprende, e lo giudichiamo nuovo o molto differente da quel che ne conoscevamo prima oppure da quel che noi supponevamo che dovesse essere, ciò fa sì che ci meravigliamo e ne siamo stupiti... Mi sembra che la meraviglia sia la prima di tutte le passioni".
                                                                                                             Cartesio, Le passioni dell'anima  

Cartesio classifica le emozioni che agitano l'uomo e mette al primo posto l'admiration. Nel termine admiration è evidente il nesso con il verbo latino miro che indica uno sguardo estasiato e appassionato, un'osservazione che non lascia indifferenti ma genera ansia e curiosità. La forza dello stupore dipende dalla novità e dalla capacità di sedurre immediatamente l'animo umano. E' solo così che apprendiamo ciò che prima ignoravamo e, soprattutto, la conoscenza ha la possibilità di persistere nella nostra memoria. Esiste un codice preciso e consolidato che dispone il corpo di chi è colpito dalla meraviglia ed è sempre impreparato ad affrontarla. Il corpo di chi si stupisce assume sempre pose imprevedibili. A volte, sopraffatti dagli eventi, perdiamo il controllo delle nostre posture e diventiamo esseri fragili. Forse è questo il motivo per cui le statue in terracotta del Compianto di dell'Arca sono state spesso nascoste ai fedeli data la disperazione assoluta che esprime. Lo stesso motivo per cui anche altre opere che raccontano lo stupore hanno subìto un destino oggi difficile da comprendere. L'opera si trova a Bologna nella Chiesa di Santa Maria della Vita. E' un'opera aliena, lontana dalle rappresentazioni sacre che mirano al conforto, alla riflessione, alla preghiera. Per la prima volta assistiamo ad uno stupore che genera dolore. Niccolò plasma emozioni senza filtri intellettuali né spirituali. Ci mette di fronte ad uno stupore così profondo da accendere il pianto, senza sciogliersi nella rassegnazione.

Da una rilettura di "L'arte in sei emozioni"

8 commenti:

  1. Ho ancora davanti agli occhi il Compianto di Niccolò Dell’Arca, per averlo visto più volte, mi ha colpito fin da subito la versatilità dell’autore di esprimere attraverso la terracotta una vasta gamma di emozioni, dallo stupore, all’incredulità, al dolore accorato, al pianto silente, al terrore scomposto e al dramma muto che chiama a testimone lo spettatore esterno.
    Ti senti chiamato da quel dramma, ti senti immerso in una amletica play-scene che chiama anche te in causa perché quell’evento riguarda te tanto quanto riguarda i protagonisti sulla scena, l’osservatore tanto quanto ciò che è rappresentato.
    Lo stupore, il thauma, secondo Aristotele è all’origine della filosofia, è la radice della conoscenza; chi traduce thauma con meraviglia non ha capito a fondo ciò che i greci antichi intendevano con questo termine, forse sarebbe più corretto dire “inquietante” o, come diceva Emanuele Severino, l’angosciante stupore o addirittura il terrore.
    Ciò vuol dire che sapere è entrare in contatto con qualcosa di estraneo, inatteso, inquietante, che ci incute terrore, ma che nello stesso tempo ci attrae irresistibilmente, per quanto di misterioso e arcano possiede e per quel premio che sembra promettere o per il semplice fatto che ci distoglie dalla mortale monotonia del noto, del consueto e dell’automatico che si ripete sempre uguale a se stesso.
    Lo stupore ci assale sempre quando siamo pronti a recepirlo, altrimenti è come se non ne fossimo colpiti, come se non ce ne accorgessimo, o come se facessimo rientrare l’evento ignoto fra le cose note e rassicuranti, non scorgendone le novità inquietanti, ma probabilmente hai ragione tu nel dire che siamo sempre, o spesso, impreparati ad affrontarlo.
    Nel tempo mi sono convinto che, nonostante le nostre migliori intenzioni, l’artista o l’amante non riescono a condividere fino in fondo la propria intimità, e l’altro non riuscirà mai a recepirla del tutto, ciò che rimane ignoto, inattinto, insondato noi lo chiamiamo desiderio, ciò che fa si che ciascuno di noi voglia ancora conoscere, attingere, sondare.
    Non a caso Jacques Lacan sosteneva che la cifra costitutiva dell’amore sia “ancora”, secondo la celebre (per i cultori della psicoanalisi lacaniana) frase: 2 … perché l’amore domanda l’amore. Non cessa di domandarlo. Lo domanda … ancora. Ancora è il nome proprio della faglia da cui nell’Altro parte la domanda d’amore”. (Jacques Lacan, Il seminario, Libro XX, Ancora, 1972 - 1973, Einaudi, Torino, 1983, p. 6).
    (segue)

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  2. La Sindrome di Stendhal è un chiaro esempio dell’essere colpiti all’improvviso da uno stupore che sovrasta le nostre capacità elaborative, ed è spesso un evento traumatico, una paralisi emotiva, non soltanto dell’intelletto, l’impressione di dover affrontare un mostro il cui potere terrifico supera le nostre forze.
    Credo che anche il sonno (riguardo al tuo precedente post su Apichatpong Weerasethakul) ci sorprende talvolta di fronte all’impensabile possa essere una via di fuga dolce, ma protettiva e difensiva, quando l’impegno sovrasta le nostre forze. Il bacio, invece, mi pare la via più saggia da seguire di fronte all’inquietante attrazione che esercita un‘altra persona da cui sei affascinato, è un modo di conoscersi secondo il canale del gusto, il primo che utilizziamo da lattanti per saggiare il mondo e gli altri e per rendere noto l’ignoto, mio ciò che non mi appartiene, buono ciò che non conoscevo.
    Un modo per lasciarti andare seguendo la corrente, senza osare contrastarla, una stilla di saggezza che imparai da adolescente quando dopo una lunga nuotata non riuscivo più a tornare a riva a causa delle correnti contrarie, più mi affannavo a nuotare e più mi allontanavo dalla costa.
    Avevo le braccia indolenzite e irrigidite per lo sforzo, avevo anche bevuto acqua di mare, avrei potuto cedere al terrore che a tratti mi assaliva e cominciare a dare bracciate disperate fino allo sfinimento, invece mi calmai, mi limitai a galleggiare e a respirare poi, riprese un po’ le forze, cercai di seguire la via della corrente, anche se mi allontanava dalla riva fino al punto da non vederla più.
    Con un largo giro approdai su una spiaggia deserta a circa 5 km di distanza da dove mi ero immerso e, dato che non incontravo nessuno in grado di potermi aiutare, mi incamminai verso il posto dove avevo lasciato la moto e tutte le mie cose, percorrendo una strada secondaria talvolta a piedi nudi oppure, muovendomi in modo piuttosto ridicolo, con le pinne ai piedi perché l’asfalto era rovente.
    Ciao

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    1. Grazie per aver condiviso qui le tue impressioni sull’opera di dell’Arca. Impressioni dal vivo… Ma anche quelle più personali. Quelle pinne le ricorderò:-)
      Mi ripeto, dicendo che i tuoi commenti lasciano sempre del materiale in più su cui riflettere, sono ogni volta degli ottimi corollari.
      Il tuo post sui ricordi mi ha condotto fino a Weerasethakul…..
      Ciao
      Julia

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  3. Grandioso scultore Niccolò Dell'Arca e c'è un tale livello di espressività nelle sue sculture che le foto postate rendono molto bene l'idea. Bello il riferimento a Cartesio, mi piace molto.

    Un salutone e alla prossima

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    1. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato questo artista non troppo conosciuto. L’opera è splendida. Fortunato chi come Garbo ha potuto goderla dal vivo.
      Grazie
      Ciao

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  4. Ciao Julia, un passaggio per farti i migliori auguri di buona Pasqua e buona vita
    Clem

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