A cent’anni dalla morte, Erik Satie resta un caso. La sua musica, la sua stessa vicenda umana continuano ad affascinare e a sorprendere gli appassionati nonostante alla riconosciuta importanza storica non corrisponda oggi un’adeguata presenza nel mondo concertistico. L’ originalità della sua vena creativa si manifesta nelle musiche non meno che nella scrittura, nel suono e nelle parole. L’utilizzo di armonie poco comuni, con accordi scollegati e distanti fra loro, note spesso ripetute, l’esposizione lenta e introspettiva, la brevità, una nuova libertà metrica e ritmica. Tutti elementi che hanno fatto di questi brani una sorta di “colonna sonora” post-moderna, meditava, contemplativa. Un esempio il pezzo pianistico intitolato Vexations, nato alla fine della tormentata relazione con Suzanne Valadon: due-tre minuti di musica che però l’autore prescrisse ripetuti 840 volte, a delineare una teorica e paradossale maratona di esecuzione/ascolto dai connotati ipnotici o di trance percettiva. Chi prese molto sul serio quelle indicazioni fu John Cage, il musicista californiano, esponente fra i più radicali della Seconda Avanguardia che considerava Satie “indispensabile”, un anticipatore dello strutturalismo. Fu Cage a realizzare per la prima volta l’esecuzione ripetuta 840 volte di quel brano, a New York nel settembre del 1963, per una durata di 18 ore e 40 minuti, con una squadra di dodici pianisti. E fu lui a riconoscere a Satie l’invenzione della ambient music, la “Musique d’ameublement”, ovvero di arredo, come l’aveva chiamata Satie. Gli scritti di Satie sono un universo parallelo e uno specchio della sua musica così che può apparire sia un musicista prestato alla scrittura che uno scrittore prestato alla musica, sempre considerato un precursore, un ispiratore dell’innovazione, un dissacratore per metodo. Le “Memorie di un amnesiaco” era la rubrica paradossale che aveva intitolato e tenuto su una rivista musicale. I Quaderni di un mammifero contengono, minuziosamente commentati, appunti sulle proprie opere destinati agli esecutori e agli ascoltatori, articoli per riviste e giornali, testi teatrali. Lo stile è multiforme, colloquiale e alto insieme, incline ai giochi di parole, alle boutade, in qualche caso vicino alla scrittura automatica, propenso allo sberleffo, agli aforismi e ai paradossi, carico di un’ironia che rende difficile distinguere lo scherzo dalla considerazione seria. La raccolta è indispensabile per entrare nel mondo di Satie e costituisce una guida rivelatoria alla sua musica. Negli anni Quaranta del secolo scorso, occupandosi dell’autore francese morto il 1° luglio 1925, un fine scrittore di cose musicali come Alberto Savinio dimostrava di cogliere chiaramente la complessità della sua dimensione creativa, inseparabile dal suo vissuto, e la problematicità del giudizio critico. «Meglio che dai musicologi, annotava Savinio, egli stesso compositore e conoscitore per esperienza diretta dell’ambiente parigino di primo Novecento, il caso sarà risolto da uno psicologo. La condizione di Erik Satie è una condizione misteriosa e tragica».
da “Quaderni di un mammifero” di Erik Satie. Leggetelo!
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