martedì 5 agosto 2025

POETI




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Una dichiarazione di poetica


Cominciò che avevo 21 anni. Forse furono le mollettiere, gli scarponi chiodati, le piaghe ai piedi mentre facevo atletica e il rancio insufficiente; forse fu il crollo nervoso, l'ospedale militare, i giri di chiave dell'infermiere-secondino, i tonfi degli epilettici che stramazzavano al suolo, i passi dei sonnambuli, gli urli dei simulatori e gli occhi di vetro dei pazzi. Forse fu colpa di tutto questo o di altro, di qualcosa che dentro non mi funzionava nel debito modo, ma appena ottenni la licenza di convalescenza e giunsi in Sicilia (era la primavera del '43), la guerra cominciò a non esistere più per me come evento eccezionale, mostruoso.

Cominciai a scrivere versi non so come, ero sempre in preda a non so quale ebbrezza, stordito da sensazioni troppo acute, troppo dolci. Le mille cose che  quella snervante primavera mi proponeva erano magicamente gravide di significati, ricche di acutissime, deliziose radiazioni. Come in una seconda infanzia cominciai a enumerare le cose amate, a compitare in versi un ingenuo inventario del mondo. Tutt'intorno lo schianto delle bombe e le raffiche degli Hurricane, degli Spitfire... Me ne andavo per la colorita campagna nutrendomi di sapori, aromi, immagini; la morte non era elemento innaturale in quel quadro; era come un pesco fiorito, un falco sulla gallina, una lucertola che guizza attraverso la viottola.

Scrissi così i miei primi versi. Poi il tempo passa, gli anni dietro gli anni, gli incontri, le letture, le vicende, i viaggi, la minuta storia che  giorno dopo giorno si viene costruendo (o solo illuminando?), provando e perseguendo i miti, gli emblemi che ci appartengono, ripudiandoli, riprendendoli, coinvolgendone altri nel gioco dell'impegno vitale, sempre seguendo gli interessi che più premono, le secrezioni delle ghiandole, i lasciti ancestrali, i diagrammi sulle interne cartelle, i furori e gli amori mutevoli e fedeli, le tappe in avanti, le tappe a ritroso del comune cammino.

La storia dei miei versi non può che coincidere con la mia storia umana. Rifiuto e considero vietate le fredde determinazioni dell'intelligenza, le esercitazioni (sia pure civilissime), le sperimentazioni che furbescamente o ingenuamente tentano l'impossibile colpo di dadi.

Non mi riesce di capire il "mestiere" di poeta, i ferri, il laboratorio di questo "mestiere". Quella del poeta è secondo me una pura e semplice condizione umana, la poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino, è un modo come un altro di essere uomini. Di là dagli schemi mentali, dalle velleità, dalle frigide volizioni e dalle sapienti masturbazioni, la poesia nasce sotto il segno apparente dell'imprevisto (vi sono misteriose maturazioni, catalizzatori non sempre identificabili, forze e forme insospettate che si liberano rompendo lo stato di "quiete", che scattano e si scatenano secondo le linee d'un disegno naturale a cui bisogna con coraggio arrendersi, individuandolo e potenziandolo, per quanto consentito, con accorta vigilanza in mezzo alla selva allettante degli inganni, dei miraggi, delle false rappresentazioni). Poesia è dunque per me avventura, viaggio, scoperta, vitale reperimento degli idoli della tribù, tentata decifrazione del mondo, cattura e possesso di frammenti del mondo, nuda denuncia del mondo in cui si è uomini, cruento atto esistenziale.

Ma forse, al giorno d'oggi, mi sbaglio, sono un ingenuo, un sempliciotto: ben altri discorsi, forse, dovrei fare. Ho comunque mille ragioni più di Apollinaire per invocare pietà (1).


Bartolo Cattafi   


(1)  "Pietà per noi che sempre combattiamo alle frontiere // Dell’illimitato e dell’avvenire / Pietà per i nostri errori e per i nostri peccati" G. Apollinaire







da “ The Dry Air of the Fire: selected poems” Bartolo Cattafi

venerdì 1 agosto 2025

AGOSTO

 



…I love not Man the less, but Nature more,
From these our interviews, in which I steal
From all I may be, or have been before,
To mingle with the Universe, and feel
What I can ne’er express, yet cannot all conceal.


There is Pleasure in the Pathless Woods” - George Gordon Byron







martedì 29 luglio 2025

LE MOSTRE CHE VORREI…

 Elliot Erwitt. Lo sguardo ironico e disarmante del fotografo Elliott Erwitt, grande interprete della cultura visiva del ‘900, è protagonista della mostra Icons a Palazzo Bonaparte fino al 21 settembre, Roma.

 


 Vivian Maier.  Torna una mostra in Italia dedicata alla celebre fotografa americana con oltre 200 fotografie a colori e in bianco e nero, al Centro Culturale Altinate-San Gaetano fino al 28 settembre, Padova.



 Dorothea LangeAl Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano 100 scatti della fotografa americana, fino al 19 ottobre.





Non solo Rinascimento. «Firenze e l’Europa. Arti del Settecento agli Uffizi» la mostra, fino 
al 28 novembre, Firenze.





In mostra all’M9, 50 dipinti scampati alla Seconda guerra mondiale nel museo francese raccontano il potere identitario del patrimonio culturale e il valore della memoria.
  «Arte salvata. Capolavori oltre la guerra dal MuMa di Le Havre».
Tra questi «La Senna a Vétheuil», «Le scogliere di Varengeville» e «Il Parlamento di Londra» di Claude Monet, «L’escursionista» di Pierre Auguste Renoir, «La Senna a Point-du-Jour» di Alfred Sisley, «Paesaggio a Te Vaa» di Paul Gauguin, «Imbarcazione con festoni a Le Havre» di Raoul Dufy, «Il bacino di Le Havre» di Albert Marquet, «Interno con balcone» di Pierre Bonnard e «Barca sulla riva» di Georges Braque. Fino al 31 agosto, Mestre.



 







Elliott Erwitt, Bulldogs on stoop, stampa in gelatina d’argento, 2020, New Jork 


Vivian Maier Self-Portrait, New York, 1953 Gelatin silver print


Dorothea Lange, La giovane evacuata Kimiko Kitagaki sorveglia i bagagli della famiglia, California, 1942


Una veduta della mostra «Firenze e l’Europa. Arti del Settecento agli Uffizi» alle Gallerie degli Uffizi di Firenze


Claude Monet, «Il parlamento di Londra, effetto nebbia», 1903, MuMa Le Havre



sabato 12 luglio 2025

“Musique d’ameublement”

 A cent’anni dalla morte, Erik Satie resta un caso. La sua musica, la sua stessa vicenda umana continuano ad affascinare e a sorprendere gli appassionati nonostante alla riconosciuta importanza storica non corrisponda oggi un’adeguata presenza nel mondo concertistico. L’ originalità della sua vena creativa si manifesta nelle musiche non meno che nella scrittura, nel suono e nelle parole. L’utilizzo di armonie poco comuni, con accordi scollegati e distanti fra loro, note spesso ripetute, l’esposizione lenta e introspettiva, la brevità, una nuova libertà metrica e ritmica. Tutti elementi che hanno fatto di questi brani una sorta di “colonna sonora” post-moderna, meditava, contemplativa. Un esempio  il pezzo pianistico intitolato Vexations, nato alla fine della tormentata relazione con Suzanne Valadon: due-tre minuti di musica che però l’autore prescrisse ripetuti 840 volte, a delineare una teorica e paradossale maratona di esecuzione/ascolto dai connotati ipnotici o di trance percettiva. Chi prese molto sul serio quelle indicazioni fu John Cage, il musicista californiano, esponente fra i più radicali della Seconda Avanguardia che considerava Satie “indispensabile”, un anticipatore dello strutturalismo. Fu Cage a realizzare per la prima volta l’esecuzione ripetuta 840 volte di quel brano, a New York nel settembre del 1963, per una durata di 18 ore e 40 minuti, con una squadra di dodici pianisti. E fu lui a riconoscere a Satie l’invenzione della ambient music, la  “Musique d’ameublement”, ovvero di arredo, come l’aveva chiamata Satie. Gli scritti di Satie sono un universo parallelo e uno specchio della sua musica così che può apparire sia un musicista prestato alla scrittura che uno scrittore prestato alla musica, sempre considerato un precursore, un ispiratore dell’innovazione, un dissacratore per metodo. Le  “Memorie di un amnesiaco” era la rubrica paradossale che aveva intitolato e tenuto su una rivista musicale. Quaderni di un mammifero contengono, minuziosamente commentati, appunti sulle proprie opere destinati agli esecutori e agli ascoltatori, articoli per riviste e giornali, testi teatrali. Lo stile è multiforme, colloquiale e alto insieme, incline ai giochi di parole, alle boutade, in qualche caso vicino alla scrittura automatica, propenso allo sberleffo, agli aforismi e ai paradossi, carico di un’ironia che rende difficile distinguere lo scherzo dalla considerazione seria. La raccolta è indispensabile per entrare nel mondo di Satie e costituisce una guida rivelatoria alla sua musica. Negli anni Quaranta del secolo scorso, occupandosi dell’autore francese morto il 1° luglio 1925, un fine scrittore di cose musicali come Alberto Savinio dimostrava di cogliere chiaramente la complessità della sua dimensione creativa, inseparabile dal suo vissuto, e la problematicità del giudizio critico. «Meglio che dai musicologi, annotava Savinio, egli stesso compositore e conoscitore per esperienza diretta dell’ambiente parigino di primo Novecento, il caso sarà risolto da uno psicologo. La condizione di Erik Satie è una condizione misteriosa e tragica».




da “Quaderni di un mammifero” di Erik Satie. Leggetelo!