martedì 17 marzo 2020

UNA AL GIORNO

Sto rileggendo in questi giorni i Taccuini di Dovlatov. Il genio di Dovlatov, uno dei grandi umoristi della letteratura russa, consisteva nella capacità di sentire e di esprimere la paradossalità universale. La quotidianità dell'esistenza dell'uomo sovietico, per esempio, ma anche l'american way of life come vissuta da un emigrato di ultima generazione sbarcato in America per poter pubblicare.
I Taccuini rappresentano annotazioni svariate, riguardanti sia la vita sovietica, fino al 1978, che il periodo dell’emigrazione, ovvero la vita americana e il mondo russo in esilio (New York 1979-1990). Queste pagine si presentano sotto forma di appunti di carattere eterogeneo, micro-testi autonomi, più o meno brevi e a seconda dei casi, come miniature narrative, aforismi, giochi di parole, aneddoti autobiografici. Fantasia e cronaca, storia e assurdo, raffinatezza e squallore si fondono nei Taccuini, così come nelle sue altre opere.
Vorrei condividere alcune di queste pagine...

Numero 52: «All’instituito di Drammaturgia di Leningrado era accaduto che, al cospetto degli studenti, fosse intervenuto lo chansonnier francese Gilbert Bécaud. Terminato finalmente l’incontro, l’organizzatore si era rivolto agli studenti. “Fate le vostre domande”. Tutti tacevano. “Fate domande all’artista!”. Silenzio. Allora il poeta Eremin, che si trovava in sala, aveva gridato a tutta voce: “Quelle heure est il?” (Che ore sono?). Gilbert Bécaud aveva guardato l’orologio e aveva risposto gentilmente “Le cinque e mezza”. Non si era offeso».

Numero 3: «Il figlio dei nostri vicini: “Tra tutte le verdure preferisco i ravioli». 

Numero 17: «“Come vuole che le tagli i capelli?”. “In silenzio”».

Nessun commento:

Posta un commento