"A ogni passo in questa città mi viene in mente un libro o mi risuona in testa una musica. È una scoperta continua.» È il 1975 quando Jan Brokken rimane folgorato da San Pietroburgo, l’allora Leningrado, patria splendente e malinconica di poeti e dissidenti, folli e geni, disperati e amanti, culla della ribellione agli zar e poi al regime sovietico in nome della libertà dell’arte e dello spirito. In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, Brokken ci accompagna nelle sue passeggiate fra presente e passato attraverso strade, teatri, case e musei sulle tracce dei personaggi che hanno reso Pietroburgo una capitale mitica della cultura europea. Un viaggio che parte dalla raffinatissima Anna Achmatova, che sembra quasi personificare l’elegante fierezza di questa città, per proseguire con l’avventura umana e poetica di Dostoevskij, Gogol’, Solženicyn; i radicali Stravinskij e Malevič e i tormentati Čajkovskij e Šostakovič; gli espatriati Brodskij, Rachmaninov e Nabokov e l’inquieto Esenin, il «Rimbaud russo» che conquistò Isadora Duncan; il principe dandy Jusupov, che assassinò Rasputin e fuggì a Parigi con un Rembrandt sottobraccio, e la pianista Marija Judina, che seppur ebrea e dissidente ottenne con la sua musica l’eterno favore di Stalin. In una sinfonia di ricordi, citazioni e frammenti di vita, Brokken compone un ritratto impressionista della città della nostalgia e del confronto tra l’arte e il potere, dove Mandel’štam ebbe a dire: «Solo da noi hanno rispetto per la poesia, visto che uccidono in suo nome."
Ho letto questo libro alcuni anni fa, era un prestito bibliotecario, con la stessa lentezza con la quale assaporo la crema di cacao. Comprarlo, due mesi fa e rileggerlo con lo stesso trasporto, inconsapevole.. L'immagine della copertina, splendida, come del resto tutte le copertine Iperborea, è dedicata ad Anna Achmatova. La rivedo qui:
"Le rivalità politiche e la storia a volte separano ciò che rimane unito nell’immaginario, ad esempio quello letterario. Molti di noi infatti non sanno che Anna Andreevna Achmatova, probabilmente la più famosa delle poetesse russe, è nata nel 1889 da un padre ucraino a Bol Soj Fontan vicino ad Odessa, nella regione dell’Ucraina.
Figlia in un matrimonio infelice, Anna era stata abbandonata dal padre a tre anni; la madre sola e con cinque figlie da crescere, si era trasferita in Crimea. Così Anna diventò grande sulle rive del mar Nero, giocò sulle spiagge di Anapa, sul lungomare di Eupatoria e a quindici anni si trasferì vicino a San Pietroburgo, proprio a Carskoe Selo dove aveva studiato uno dei più famosi poeti russi, Aleksander Puskin.
In Là dove s’inventano i sogni. Donne di Russia un libro che raccoglie in maniera molto originale diverse biografie storiche femminili, l’autrice Margherita Belgiojoso ripercorre le tappe della vita della scrittrice:
“Anche Anna voleva diventare poeta. Si era sempre sentita diversa dai coetanei: camminava nel sonno e parlava da sola, timida all’inverosimile quando le coetanee civettavano. Verso i diciassette anni aveva scoperto il cognome tataro della nonna materna e, dopo che il padre l’aveva accusata di infangare la famiglia con i suoi versi, aveva adottato Achmatova come pseudonimo. Senza grandi rimpianti, visto che da sempre detestava il suono del cognome paterno Gorenko.”
La futura poetessa lasciò così il cognome ucraino, Gorenko, per quello tataro della nonna, Achmatova, ed perseguì il sogno (comune a molti nell’Ottocento) di vivere scrivendo versi. Sulle tracce di un destino particolare, nel 1909 Anna sposò Nikolaj Gumilëv dopo un lungo corteggiamento. Gumilëv era un poeta conosciuto in tutti i circoli letterari di Pietroburgo e divenne una figura di riferimento del movimento della poesia russa degli Acmeisti. L’Achmatova però si sposò senza convinzione.
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Tanto poco rimase dell’attrazione tra i due che rientrarono separatamente dal viaggio di nozze a Parigi. L’Achmatova aveva conosciuto Amedeo Modigliani sulle panchine delle Tuileries e Gumilëv aveva proseguito per l’Africa.
Anna Achmatova è sopravvissuta agli amori tristi, ai mariti traditori, ai gelosi, alla fucilazione di Gumilëv, all’arresto ed alla deportazione dell’unico figlio, Lev, durante il regno assoluto di Stalin ma non è mai stata attiva nella rivoluzione bolscevica, né si trasferirà mai all’estero, e morirà a Mosca nel 1966.
Per questo, da esterni, preferiamo guardare i conflitti e le rivalità che animano le rivendicazioni tra Russia e Ucraina con gli occhi della letteratura, quel fluido nel quale non ci sono confini, dove i protagonisti sono fratelli e le pagine unite come i dettagli di un unico grande affresco. Per l’Achmatova e le altre donne russe, infatti, non cerchiamo i dettagli delle influenze di un’origine sull’altra, preferiamo pensare alla poesia di una terra che per noi lettori rimane un luogo dove s’inventano i sogni".
Melissa Pignatelli
Immagine: Ritratto di Anna Achmatova di Natan Altman, 1914, Olio su tela, Museo Russo di San Pietroburgo
Mi permetto di parafrasare Dostojevskij dicendo che la bellezza ma anche la conoscenza salveranno il mondo e di condividere il commento di un lettore di un blog:
IL GROTTESCO D’ORO
Scrivo a caldo, anch’io come voi indignato dalla propaganda a senso unico dalla quale siamo inondati da due settimane in qua.
Vi voglio semplicemente ringraziare per avere scritto quello che qualcuno doveva pur scrivere; e spero che i vostri lettori siano almeno ventisei.
Non ho molto da aggiungere a quello che avete scritto. Due o tre cose, giusto per assaggio:
1. “Dopo 75 anni è scoppiata la guerra nel cuore dell’Europa”. Ma negli anni ’90 dove eravamo? La guerra (di una ferocia spaventosa, assai più di questa) era a due passi da casa nostra; noi guardavamo da un’altra parte. E l’Europa dov’era? Una parte (Francia) badava a sostenere la Serbia, un’altra (Germania, Austria e ahimè Vaticano: si sa, Catholics first!) Croazia e Slovenia. E per la Bosnia c’è voluta la mediazione degli USA. Che più tardi per il Kosovo hanno pensato bene di bombardare la Serbia (noi no, noi mantenendoci puliti gli abbiamo solo concesso la base di Aviano) e di sostenere quei malfattori dell’UCK. I Valori dell’Occidente!
2. Il più degno del Grottesco d’Oro mi sembrava il sindaco Beppe Sala, il quale (dopo il successo clamoroso alla Scala della prima della Dama di picche) ha cacciato il maestro Valerij Gergiev (uno dei migliori al mondo per quanto mi consta, e probabilmente uno dei pochi a saper dirigere quell’opera) perché “non ha preso le distanze dalla guerra”.
Prontamente imitato, peraltro, dai Wiener Philarmoniker, dai Münchner Philharmoniker e dalla Carnegie Hall. Unanimità commovente!
(E bene ha fatto la soprano Anna Netrebko ad annullare la sua presenza alla Scala per l’Adriana Lecouvreur).
Alle Olimpiadi di Atene nel 2004 qualcuno ha chiesto agli atleti americani di prendere le distanze dalla guerra all’Iraq, da Bush e dalla sua gang?
Ci avevano pensato Tommie Smith e John Carlos, alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, a salire sul podio scalzi salutando a capo chino e col pugno guantato di nero a sostegno del movimento Olympic Project for Human Rights, mentre veniva eseguito l’inno americano. E la Città sulla Collina, Patria degli Human Rights, gliela fece pagare cara.
3. Ma allo sprint Beppe Sala è stato battuto da Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’Università Milano-Bicocca, la quale ha bloccato il corso su Dostoevskij che Paolo Nori avrebbe dovuto tenere a patire dal 3 marzo. Alle immaginabili polemiche che ne sono seguite, il prorettore Casiraghi ha cercato di mettere una pezza puntualizzando che si era soprasseduto allo scopo di “ristrutturare e ampliare il corso includendo alcuni autori ucraini”.
Ma alla Bicocca sono dei genî! Prima fermare Dostoevskij perché un russo ancorché morto (e patrimonio dell’umanità) fa paura; poi cercare di bilanciarlo con… Gogol’? Bulgakov? (Čechov no perché nacque qualche chilometro più in là). I quali però, poco patriotticamente, hanno scritto in russo…
Dunque, Grottesco d’Oro a Iannantuoni e Casiraghi.
E Paolo Nori terrà il corso al Suor Orsola Benincasa:
https://www.ilriformista.it/la-lezione-su-dostoeveskij-si-puo-fare-al-suor-orsola-la-cultura-non-si-censura-il-rettore-dalessandro-invita-paolo-nori-283811/
È inutile farla troppo lunga. Mi fermo qua pregandovi, se potete, di continuare con questi vostri interventi che, anche se non andranno sul Corriere della Serao su Repubblica(quantum mutata ab illa!), serviranno a richiamare qualcuno a una visione critica ed equilibrata.
Grazie ancora. Un caro saluto
Anonimo Marchigiano
Ps. C’è ancora qualcuno che non ha perso la testa
Da un’amica musicista ricevo (in controtendenza col sindaco Sala):
Novembre 2022: si svolgerà il grande concorso internazionale pianistico “Ferruccio Busoni”, quest’anno con un fervido invito a partecipare alla gioventù russa, ucraina, bielorussa.
Ciò che la malvagità degli uomini separa, la benedetta musica degli uomini unisca!
Vorrei dedicare questo, per me lunghissimo e insolito post, a Garbo, perché in questo momento più che mai le parole hanno un peso..