venerdì 15 aprile 2022

PASSIONE



Il 15 aprile 1729, alle13 e un quarto del pomeriggio, le campane di St-Thomas suonarono a morto per il Venerdì Santo e, mezz’ora più tardi, i Vespri si aprirono con la preghiera Da jesus an dem Kreuze stund. 

La liturgia sarebbe durata almeno fino alle 17.30. 

Per i fedeli, fu una celebrazione intensa, secondo la tradizione tramandata dal Medio Evo, e un avvenimento eccezionale per gli appassionati di musica. 

La Passione secondo Matteo è di una bellezza che non si può descrivere a parole. Non soltanto vertice della musica religiosa della Riforma Protestante, ma anche vetta irraggiungibile della storia della musica in generale.

La Passione secondo Matteo rappresenta il vertice della musica religiosa bachiana. Una delle sue più vaste composizioni e con l’ organico più grande.

Bach era probabilmente consapevole della sua importanza, visto che la riprese per ben quattro volte. La partitura definitiva, che risale al 1746 circa, è il più bel manoscritto autografo che ci sia rimasto di Bach.


Qui la registrazione storica del 1954 che vede come conduttore il grande Wilhem Furtwangler.


https://m.youtube.com/watch?v=QkM_AGGVm_Y

venerdì 8 aprile 2022

IL FILOSOFO

 

Durante l'open day “Portes Ouvertes”, della Concordia University di Montreal, presso la quale lavorava, si presentò un membro della tribù nativa americana dei mohawk. L’uomo chiese a Smith, incaricato di incontrare coloro che fossero stati interessati all’iscrizione, quale tipo di filosofia insegnassero. Smith rimase sorpreso quando l’uomo aggiunse: «Sa, anche noi abbiamo la nostra filosofia» e replicò con uno scettico: «Ah, davvero?». Solo in seguito capì che l’altro aveva però ben colto “la sufficienza e l’arroganza” della sua risposta. Dopo poco l’uomo se ne andò e non si iscrisse mai in quell’università.

Di questa esperienza personale dolorosa ne parla con umiltà l'autore del libro" Il filosofo. Una storia in sei figure" Justin E.H. Smith, docente di Storia e filosofia della scienza all’Université Paris Diderot. Egli continua con un’impietosa autocritica, osservando che i filosofi accademici, «visti dall’esterno, sono solo una istanza particolare di qualcosa che ha molte forme. Pensano di rappresentare la filosofia come civiltà, mentre ciò che esiste sono solo molte, e diverse, culture filosofiche».

In questo saggio l'autore individua sei personaggi tipo che hanno svolto il ruolo del filosofo in molte società diverse di tutto il mondo nel corso dei millenni: il Curioso, il Saggio, il Polemico, l’Asceta, il Mandarino e il Cortigiano. 

Il Curioso incarna un atteggiamento ora andato perso, ma vivo nell’antichità, in cui tutto era degno di interesse per il filosofo, dalle tempeste all’anatomia animale.

Il Saggio è la figura socialmente venerabile, capace di vivere in una cultura, coglierne criticamente gli elementi portanti, sapendo prenderne le distanze.

Il Polemico nel libro è rappresentato esemplarmente da un personaggio frustrato, che ignora le esigenze di rigore e scientificità dell’accademia e cerca di attirare su di sé l’attenzione. 

Le figure dell’Asceta e del Mandarino, poi, rappresentano rispettivamente una il filosofo capace di distacco dalle cose del mondo, l’altra quello che appartiene a una struttura sociale d’élite in cui il singolo esercita la propria professione.

Il Cortigiano, infine, è colui che cerca di inserirsi nella società non per cambiarla, ma «per far avanzare se stesso e la propria fama».

La lista non pretende l’esaustività: l’autore infatti ammette che se ne potevano aggiungere altre, come ad esempio quella del Ciarlatano o quella del «guru del self-help che promette di spiegare tutto ciò che è necessario sapere». Smith ritiene però che questa classificazione consenta di spiegare il lavoro e l’impatto sociale di tutti coloro che nella storia sono stati chiamati filosofi.

Il risultato è allo stesso tempo un' introduzione non convenzionale alla storia della filosofia e un'esplorazione originale di ciò che la filosofia è stata e potrebbe tornare ad essere.









venerdì 1 aprile 2022

APRILE


Rembrandt Harmenszoon van Rijn - Filosofo in meditazione - 1632



Sul sito del Louvre, nel commento a questo quadro, leggiamo che in Rembrandt l'oscurità non ha il valore drammatico che in Caravaggio equivale all'ignoto e alla paura che avvolge il mondo, il buio è piuttosto un rifugio che si apre di quel tanto da permettere alla luce di confortarci col suo tiepido calore.

Nel tempo gli studiosi di Rembrandt hanno scorto molto di più che belle figure con i giusti colori, piuttosto una riflessione sul mondo e sulla condizione umana. Alcuni autori hanno visto, dietro alle storie prese in prestito dalla tradizione, che aveva “tratteggiato un’infinità di pensieri”; e lo descrivono come profondo e inafferrabile: “Non sappiamo che cosa dire: restiamo in silenzio, “riflettiamo”, di fronte alle sue opere. Nel 1999, Simon Schama riconosce che Rembrandt è un maestro dell’emozione, ma aggiunge: “Sin dall’inizio Rembrandt fu anche un acuto pensatore, tanto filosofo quanto poeta”.

Per qualcuno la vera protagonista fra le due figure del quadro è la scala a chiocciola, vista come essenza ondivaga del pensiero. E citando William Blake, secondo il quale quello che oggi possiamo dimostrare un tempo era solo immaginato, altri si lasciano indurre dalla suggestione e vedono la forma della nostra essenza biologica, la doppia elica del DNA...



 Consigli di lettura


 "Il caso Rembrandt" di Tzvetan Todorov

 "Gli occhi di Rembrandt" di Simon Schama